“L’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti” [Cassazione Civile 28/08/2009, n. 18804]
La prima statistica mondiale dei casi di bullismo, sviluppata con il supporto dei 50.000 collaboratori dell’ONG internazionale “Bullismo senza frontiere”, colloca l’Italia tra i Paesi con il maggior numero di casi di bullismo al mondo, con un totale di 19.800 casi.
Il bullismo rientra tra le forme di violenza attiva tra i minori e fa leva sulla psicologia del branco: come i piccoli animali per attaccare una preda più grande abbisognano del gruppo, così gli attori di bullismo agiscono collettivamente sino a distruggere l’identità, la dignità e la salute psicofisica della vittima, attraverso un perverso stillicidio di angherie, emarginazioni, sgarbi, prese in giro, offese, esclusioni…
Negli ultimi anni, i Giudici si sono spesso soffermati sulle responsabilità legate agli atti aggressivi dei minori, chiamando in causa gli adulti di riferimento, in primis, i genitori.
Del resto, quantitativamente parlando, è l’educazione in famiglia a prevalere: prevale per quantità di tempo d’esposizione e per l’impatto dell’impregnazione subita senza che il minore se ne renda conto (trattasi della cosiddetta “educazione informale”, corrispondente all’insieme delle esperienze in base alle quali gli individui organizzano la propria concezione di se stessi, degli altri e del mondo in cui vivono).
Il nostro codice civile cristallizza la responsabilità dei genitori all’articolo 2048, sancendo che il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati che abitano con essi e sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.
Come precisato da una recente sentenza della Suprema Corte, “la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 c.c. – di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore – coincide, normalmente, con la dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa” (Cassazione Civile, Sezione III, 10/09/2019 n. 22541).
Detto diversamente, i genitori devono vigilare che l’educazione impartita sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest’ultimo ne abbia “tratto profitto”, ponendola in atto “in modo da avviarsi a vivere autonomamente, ma correttamente” (Cassazione Civile, 22/04/2009, n. 9556).
Un monito quindi per tutti i genitori, nessuno escluso, a essere sempre presenti e attenti nonché a essere disposti a rivedere la propria opera educativa laddove i figli diano dei segnali o tali segnali ci vengano riportati dall’esterno. Personalmente, sono un po’ guardinga nei confronti dei genitori (apparentemente) troppo sicuri di loro, convinti di aver cresciuto figli “perfetti” e pronti ad attribuire sempre all’esterno delle mura domestiche la responsabilità delle loro malefatte.
Siamo così sicuri di aver trasmesso dei valori – in primis il rispetto per l’altro – e che i nostri figli li abbiano effettivamente assimilati?
avv. Valeria Dellavedova
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