Li hanno ribattezzati “siblings” per indicarli come fratelli e sorelle di persone con disabilità. Solo fratelli o sorelle era troppo semplice. 

Gabriele non sa di essere un sibling. Ha otto anni, gioca a calcio, sogna di calpestare un giorno il prato dell’Olimpico indossando la sua maglia del cuore, quella della Lazio.

Il percorso di Gabriele verso il derby romano è ancora lungo ma di gol ne segna già tanti e ogni volta è una festa insieme ai compagni e a chi tra mamma Claudia e papà Gianluca lo accompagna è fa il tifo per lui dalla tribuna, quella tribuna che per Gabriele è già la sua “Curva Nord”.

Sotto la curva oggi, sotto la curva domani, baci e cuori lanciati in gran quantità equamente divisi tra i suoi “ultrà”: genitori, zii, amici e tutti quelli che gli vogliono bene.

Ma a Gabriele non basta. Manca sua sorella Nicole. 

“Si va beh, è una rompiscatole – dice di sua sorella maggiore Gabriele con un sorriso da schiaffi – noiosa quando spara i suoi pipponi sul Giappone e con sto sogno di diventare una cantante di successo, quindi sempre a provare e riprovare in camera sua che poi è anche la mia ma…”

Gabriele conclude il monologo scoppiando in una grassa risata per poi tornar serio, guardando la madre come  un cocker quando implora la sua padrona di farlo uscire per accompagnarla ovunque fuori dal salotto di casa.

“Mamma ma perchè Nicole non viene a vedermi?
I fratelli e le sorelle dei miei compagni ci sono sempre. Ho capito che il calcio non è nei suoi pensieri ma anch’io non sono appassionato di canto eppure vado a vederla agli spettacoli e mi emoziono pure! Ho addirittura cantato con lei.
Anche solo perchè è mia sorella e gli voglio un gran bene”.

Bella domanda. Claudia e Gianluca capiscono forse non fino in fondo cosa chiede il loro piccolino che sta crescendo in fretta.

“Gabri sai bene che Nicole vede solo da vicino anzi, da vicinissimo – mette insieme come può parola dopo parola Claudia – Seduta in tribuna non riuscirebbe a vederti, ma nemmeno se fosse seduta in panchina”.

Lo sguardo di Gabriele è ricco di tutto ciò che passa per la sua testa.
“Ma io lo so chi è e com’è mia sorella, mica voglio che venga a vedermi, io voglio che ci sia”.
Un pensiero troppo profondo per i grandi e infatti, il piccolo lo tiene per se.

Papà e mamma fanno squadra e alla prima partita utile anche Nicole è in Curva con loro.

Gabriele entra in campo e ha una faccia diversa anzi, l’aveva già quando è uscito di casa questa volta con la sua squadra finalmente al completo.

L’arbitro fischia più forte del solito come se anche lui sapesse che qualcuno in Curva vuole sentire dal campo che la partita è iniziata.

Tiro fuori di poco. Tiro sul palo. Tiro alto.
Niente sta palla oggi non vuole entrare.

Nicole guarda l’orizzonte a testa alta per sentire meglio tra mille voci quella che interessa a lei, l’unica.

Il tempo passa e Nicole piano piano si spegne.
Gabriele no, insiste, andar sotto la Curva oggi è troppo importante.
Nicole non parla, non chiede cosa succede, aspetta solo un segnale da suo fratello.

La palla viaggia verso la porta avversaria, Gabriele si allunga in una spaccata che raddoppia la misura delle sue ancora corte e piccole gambe a stavolta si, con tutto il fiato che ha nei polmoni e in ogni altro angolo del suo corpo esplode un “gooooooooooolllllll” che arriva dritto a Nicole per riaccenderla e alzarla più alta di tutti, emozionata come Gabriele quando la vede cantare su un palco. Nicole è in piedi per pulire ogni rumore dalla canzone più bella fatta solo di una parola che sente solo lei perché gliela sta cantando suo fratello.

“Vi faccio vedere io quanto e cosa vede mia sorella Nicole” sembra dire Gabriele quando sul campo si volta in direzione della sorella alzando le sue piccolissime mani per metterle davanti agli occhi con le dita unite, simulando un paio di occhiali
Gabriele voleva Nicole in Curva non per com’è o per cosa vede ma perchè è sua sorella.

E Nicole si è seduta in tribuna perchè giocava suo fratello.
Lo sanno bene anche mamma e papà che non dicono niente perchè troppo impegnati a tamponare l’umidità che ha invaso i loro occhi.

Chiamateli pure “siblings”, magari un giorno “diversamente fratelli”.
Ma ogni tanto tra un convegno, uno studio e un “battesimo” fermiamoci, ascoltiamoli e se riusciamo a recuperare un pizzico di umiltà seguiamoli in silenzio per riuscire ad “ascoltare le voci più belle” o magari anche solo per imparare qualcosa.